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La Storia di AVEZZANO

negli scritti di Ellegì


 
 
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Avezzano negli anni della Riforma Agraria 1952-54 (da “Pìe e contrapìe”, in “Il Fucino”)

Nelle pagine di “Pìe e contra pìe” (pelo e contropelo) Giulio Lucci ha composto, da par suo, una storia della Marsica per gli anni immediatamente successivi alla Riforma Agraria e all’assegnazione delle terre del Fucino.
Dalle lotte dei contadini allo spezzettamento delle terre, dalla ricostruzione di Avezzano all’espansione urbanistica disordinata e irrazionale, dalle vicende private e pubbliche agli stati d’animo individuali, dalle delusioni agli entusiasmi, tutto ciò viene visto (o rivisto) da Ellegì con gli occhi sorridenti e ingenui dell’umorista, che non vuole far satira, ma solo commentare delicatamente e argutamente i pregi e i difetti di una certa umanità: una umanità che, pur nella sua dimensione prettamente locale, acquista anche valore simbolico, universale, paradigmatico di una situazione generale dell’uomo, che è di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Indicativo, a tal proposito, è l’episodio in cui Biasino e Rantuccio, i due amici di “Pìe e contrapìe”, parlano della fortuna sfacciata di Raffieluccie (Raffaeluccio), il quale non solo ha vinto trecentomila lire al Totocalcio (“aglje Rotocalce”), ma ha ricevuto anche dall’Ente Fucino una bella casetta e quaranta coppe di terreno:

 - Intanto a Raffieluccie ci ’one date ’na bella casetta che quarantaddù coppe de terra a Fùcine! A quije ce féta pure jàlle (il gallo)!!!
 - Perché, Biasì, ce féta pure jalle?
- Comme perché?! Ne le sà che jàtre jorne ha vìnte trecentemìla lire aglje Rotocalce? Se fìce compùnne ’na scheda aglje figlje e una alla moglje: chi sà comme è state, non t’one fatte dùdici quiji sculatùni?

Il motivo dell’invidia viene caratterizzato ancora quando i due amici passano ad elencare le altre “fortune” di Raffieluccie, fortune tanto più incomprensibili quanto più Raffaele è da loro giudicato un “rimbambito”.
Interessante è, qui, la capacità di osservazione psicologica dell’autore, il quale fa dire da Rantucce (Orantuccio) che Raffaele e la moglie sono “dù rembambitùni”, ai quali chi li vede non darebbe “manche dù sordi” ( nemmeno due soldi).
Tale giudizio, messo sulla bocca di Rantucce, non riflette il reale pensiero del personaggio, ma solo il suo bisogno di giustificare a se stesso ed all’amico la sua sfortuna.
È, insomma, come se volesse dire: “Certo, Raffaeluccio è fortunato, ma lo è perché è uno sciocco; se noi siamo sfortunati, è perché non siamo come lui”.
È, pertanto, una forma di rivincita morale che il  poveraccio, chiunque sia e dovunque viva, cerca di realizzare: quasi una specie di consolazione per le sue sventure e la sua miseria.

   
         
 
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